Per la prima volta Il piccolo Principe, il capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry e uno di libri più amati da bambini e adulti, viene adattato nella collana Carte in tavola da Fabrizio Silei, Premio Andersen 2012 e 2014 e candidato al Premio Strega ragazzi 2018, per le illustrazioni di Andrea Rivola, premio Gigante delle Langhe 2015 per le illustrazioni de Il cammino dei diritti edito da Fatatrac. Abbiamo chiesto agli autori come si sono avvicinati a questo lavoro e quale il loro rapporto con questo classico della letteratura. Cominciamo con Fabrizio Silei, autore dei testi.
Quando e qual è stato il tuo primo approccio, da lettore, a questo classico?L’ho letto durante i primi anni del liceo cedendo all’insistenza di una ragazzina con la quale ci facevamo gli occhi dolci. Credo che nonostante le intenzioni dell’autore, sia uno di quei libri che si apprezza a pieno durante la preadolescenza e poi si continua ad amare per il ricordo che se ha. È un libro filosofico, poetico, con un finale tutt’altro che catartico, venato da una certa malinconia, se vogliamo. Un libro perfetto per quel momento della vita in cui gli adulti cominciano a sembrarti incomprensibili e daresti qualunque cosa per avere un amico che ti capisca, da cui farti addomesticare.
Come ti sei accostato alla scrittura di Saint-Exupéry e come sei riuscito a far incontrare il tuo stile con il suo?Per sottrazione, cercando di riportare il testo ad altezza di bambino, di mantenere inalterato il nocciolo narrativo di ogni capitolo. Ci sono dei capitoli veramente brevi, che non si perdono in lunghe disquisizioni e ripetizioni un po’ troppo “adulte”, come altri, ma risultano fulminanti, dotati di una loro grazie felice. Ho cercato di rispettare quei capitoli e di sottrarre, appunto, per trasformare anche quelli più lunghi in qualcosa che ne restituisse la potenza mantenendo il nocciolo narrativo pur perdendo delle informazioni e rispettando il più possibile la voce del testo di Saint-Exupéry.
Di solito sono contrario alle riscritture dei classici perché credo che un libro sia il suo linguaggio oltre che la sua storia, e temo che in pochi, dopo aver letto un classico riscritto e riassunto, vadano a leggere anni dopo l’originale. Qui, invece, si tratta di un gioco, di qualcosa di diverso da un libro. Una sorta di introduzione che non esclude per il bambino, una volta cresciuto, l’incontro con il testo e il libro originale, ma anzi, la prepara e la “mette in conto”.
Qual è la differenza di riscrittura (se c’è) di un classico per una Carta in tavola e per un libro?Qualcuno ha detto che il buono scrittore è colui che riesce a dire in una frase quello che un cattivo scrittore dice in quattro. Scrivere avendo a disposizione lo spazio limitato di una carta è un esercizio che veramente fa capire quanto la scrittura sia un’operazione sottrattiva e quanto sia importante togliere. Quando c’è troppo spazio a disposizione noi scrittori tendiamo a “gigioneggiare”. Con le Carte in tavola questo non si può davvero fare. Un lavoro estremo, difficile, ma gratificante.
Se potessi scegliere, quale altro classico del XX secolo adatteresti nel formato Carte in tavola?Nello stesso spirito con cui ho fatto questa riscrittura de Il piccolo Principe, vale a dire di gioco che prepara alla lettura dell’originale e non la sostituisce, forse mi piacerebbe, ma sarebbe veramente un’operazione ardua trasformare ogni racconto in una carta, provarci con Marcovaldo e le sue avventure in città, di Italo Calvino. Roba da pazzi, ma questo mi viene in mente, e poi credo che quei racconti continuino a dirci qualcosa, forse oggi più che mai, sulla nostra perdita di contatto con il mondo e la natura.